venerdì 27 aprile 2012

L'ESPOSIZIONE D'ARTE GIAPPONESE, ROMA 1930 2° parte


Pietro Silvio Rivetta  
"LA PITTURA MODERNA GIAPPONESE"  edito dall'Istituto nazionale L.U.C.E. nella collana "L'arte per tutti" e stampato dall'Istituto Italiano d'arte grafiche di Bergamo nel 1930


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Il catalogo edito per illustrare la mostra " l'esposizione d'arte giapponese ", allestita presso il Palazzo delle Esposizioni, di Roma, comprendeva un elenco delle opere esposte e molte illustrazioni, a piena pagina, stampate in bianco e nero, ma era privo di testo critico.

E' interessante esaminare e riassumere il testo elaborato, a commento della mostra romana, da Pietro Silvio Rivetta, conosciuto anche con lo pseudonimo di Toddi. Lo scritto compare nel suo libro intitolato "la pittura moderna giapponese", pubblicato, nello stesso anno della mostra, dall'istituto nazionale L.U.C.E. e stampato dall'Istituto Italiano d'arte grafiche di Bergamo.

Il libro appartiene alla collana intitolata "L'arte per tutti". Una collezione di piccole monografie, destinate a divulgare il gusto e la conoscenza storica dell'arte nel pubblico meno addentrato a questo tema. La politica editoriale "pensò di fare dei volumetti che, sia nel testo che nelle illustrazioni, racchiudessero tutto l'essenziale intorno ad un determinato argomento". Libricini contenenti "molte ed eccellenti illustrazioni: almeno 24 tavole, ben scelte e ciascuna accompagnata in margine dalla sua nota illustrativa; brevissimo il testo, non più di 8 paginette, ma chiaro, sintetico ed esauriente", "redatto dai più autorevoli studiosi di quel argomento". Il libretto in esame rispecchia tutte le caratteristiche elencate e pur appartenendo a una collana a scopo divulgativo contiene un innovativo intervento critico, dove l'autore palesa conoscenza e sensibilità per l'arte giapponese, ben denotata anche dalla, pur succinta, bibliografia.

Il commento del Rivetta, usando le sue parole, si può riassumere: 

" Nelle pagine che seguono sono riprodotte le opere di ventiquattro pittori giapponesi contemporanei, questa esposizione offre una possibilità unica: non mai altrove, nemmeno nello stesso Giappone, i pittori giapponesi, appartenenti a due opposti gruppi, polarizzanti da un trentennio tutta l'arte pittorica tipicamente nazionale, esposero insieme né in si gran copia le loro opere ".

I due gruppi "rimangono rigidamente nella cerchia sostanziale della tradizione"; " più che nella tecnica si differenziano nel contenuto e nelle intenzioni dell'arte, in quanto alcune vogliono essere realisticamente obiettive e quasi esaurirsi in se stesse mentre ( l'altra fazione artistica) aspira a lasciare il più ampio campo suggestivo e di fantasia a chi le contempli e possa da esse trarre ispirazione ", " i due gruppi vengono chiamati Tei-ten e In-ten ", "ma non facile sarebbe una rigida demarcazione dei due gruppi in base a meri criteri artistici: alcuni autori od alcune opere potrebbero legittimamente emigrare dal Tei-ten allo In-ten o, in casi più rari, viceversa ".

Non era possibile non spiegare la differenza nel formato; " diciamo pitture, meglio che quadri, in quanto l'idea di un dipinto rigorosamente squadrato e contenuto e' non solo del tutto esotica, ma addirittura in antitesi con la tradizionale funzione dell'arte nipponica. Un dipinto giapponese non e' che la parte centrale di un più ampio oggetto artistico, il kakemono, destinato a fondersi in un certo qual modo all'ambiente e a creare, in esso e con esso, una determinata atmosfera"; " (i kakemono) vengono mutati col variare delle stagioni o in particolari circostanze ( per esempio: gli ospiti in visita NdR )". Concludendo: "e' facile da ciò intendere come la funzione stessa della pittura giapponese ne determini lo speciale carattere, decorativo e di suggestione, il quale nettamente la distingue dalla pittura in stile europeo". "la abura-e , la pittura ad olio, non è stata neppur tentata per lavori di puro stile giapponese, ai quali è anche rimasto estraneo ogni principio realistico di prospettiva e di ombre".

" la pittura giapponese continua così tuttavia quella ininterrotta tradizione che da dodici secoli continuamente si rinnova entro barriere rigide che nettamente la distinguono da ogni altra ( forma pittorica non giapponese ) "

" I kakemono possono essere di due specie: avere nella parte centrale un dipinto a colori ( tsukuri-e o pittura ornata ) oppure in bianco e nero (  tsukuri-e o pittura a inchiostro di Cina ) su seta o su quella peculiare carta assorbente che impedisce al pittore di correggere e modificare il tratta già segnato ".

" La legge del pennello ( hippo ) è quella medesima che regola la scrittura presso questo popolo per quale ogni segno scritto è un immagine. Il calligrafo, in Giappone, è un artista quanto lo è il pittore: ma ogni pittore è anche, nei sui dipinti, un calligrafo " questa legge " vuole che ogni pennellata sia sicura, a pugno immobile, col solo movimento delle dita. Questa virtuosità di esecuzione è anche uno degli elementi che van considerati da chi voglia la pittura giapponese come la osserverebbe un giapponese, ossia giudicata per ciò che, anche nelle intenzioni dell'autore, vuol valere e significare dinanzi agli occhi di un giapponese colto. " .

In merito a come un giapponese colto osserva la pittura " tra i fiori di altea ( titolo dell'opera esposta NdR ) di Sōmei Yuki c'è, quasi nascosto, un uccellino: dettaglio secondario per lo spettatore europeo, ma che desta una sentimentale associazione d'idee nel Giapponese, come un usignolo fra i fiori di prugno gli inevitabilmente, per tradizionale poetico simbolismo, l'immagine d'un idilliaco convegno di amanti ".

Pietro Silvio Rivetta fu autore di altre opere sul Giappone, per i tipi di Ulrico Hoepli, pubblico, nel 1941, "Il paese dell’eroica felicita, Usi e costumi giapponesi" e nel 1943, "Nihongo no tebiki Avviamento facile alla difficile lingua nipponica".

Il Conte Pietro Silvio Rivetta ( Roma 1886 -1952 ), fu direttore del “ Travaso delle Idee ”, scrittore e giornalista brillante, versatile e capace di cogliere gli aspetti umoristici in tutte le materie affrontate. Addetto all'ambasciata italiana a Tokyo nel 1910, ottenne le cattedre di cinese e giapponese all'Istituto Orientale di Napoli. In seguito insegnò, a Roma, Giurisprudenza. Poliglotta, tentò di adattare al mondo occidentale le dottrine orientali. Il 21 marzo (equinozio di primavera) del 1943, presso la Guaita del Monte Titano, fondò la “Scuola del benessere integrale”, per divulgare la sua dottrina del "massimo rendimento". Suoi sono i volumi: “Geometria della realtà e Inesistenza della morte” e “ Manuale teorico-pratico per la serenità in questa vita e nell'altra ” (1946). L’interesse per le stranezze e le possibilità combinatorie della lingua italiana, lo spinse a scrivere uno dei primi libri di Enigmistica in Italia, edito nel 1925 e intitolato “Metodo per risolvere i Cross Words - Puzzles ( parole in croce )” .






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