mercoledì 9 marzo 2011

Kyusen, l’ arco e le frecce




Kyusen, l’ arco e le frecce Il samurai era addestrato all’ uso di molti tipi d’arma, fra queste è obbligo menzionare l’ arco, in giapponese yumi; nell’ antico Giappone n’esistevano di varie grandezze e forme, creando moltissime varianti del tipo fondamentale, conosciuto con il nome di fusedake no yumi oppure mamaki yumi, lungo dai 1,80 ai 2 metri, molto resistente ed elastico, era rinforzato da sottili strisce di bambù, legate esternamente in vari punti alla struttura linea dell’ arco.

Nella tradizione militare del Giappone l’ arco condivide con la spada un eguale prestigio, rappresentano entrambi l’ emblema dell’ indomita forza guerriera, dei poteri di concentrazione e determinazione e un simbolismo religioso, anche se, nella cultura giapponese, tutti i personaggi di posizione sociale elevata erano felici quando venivano divulgate e acclamate le loro qualità di arciere ma, cercavano di far passare inosservate le prodezze realizzate con la spada.

Usato largamente dai guerrieri a cavallo, i quali, come descrivono i testi antichi, al galoppo, guidando con le sole gambe l’ animale, scagliavano le loro frecce, in una rapida successione, contro gli avversari in battaglia, ferendoli e lasciando ai fanti il compito di inferire il colpo di grazia.
L’ avvento delle armi da fuoco e il loro impiego in guerra ridusse l’ importanza strategica dell’ arco e dell’ arciere nel campo di battaglia ma non offuscò il prestigio della disciplina, paradossalmente rafforzando la relazione fra l’ arco e la freccia e la leggendaria nascita della nazione giapponese.

In epoca neolitica le punte delle frecce erano realizzate in osso o in pietra e già si presentavano in un vasto repertorio di fogge, la più peculiare era costituita da una punta composta da due alette ( Karimata ). L’ importazione del metallo nell’ isola nei primi secoli dopo Cristo permise la realizzazione di punte di freccia fuse in bronzo e in ferro, anche in questa seconda fase ritroviamo un vasto repertorio di forme: lanceolate ( hokoya ), triangolari ( hirane ), a foglia di salice ( yanagiba ) e così via.

Le frecce, in giapponese ya, erano realizzate da un Ya – haki, fabbricante di frecce, erano costituite da un’asta di canna, in giapponese yagara, di lunghezza variabile, con punte, in giapponese yajiri, realizzate con materiali e forme molteplici, secondo l’ utilizzo, tanto da creare un enorme varietà di fogge e grandezze che non permettono una compiuta classificazione, per esempio, avevano la punta di legno a forma di pera quelle usate per esercitarsi al tiro al bersaglio, di contro le frecce per la guerra o per la caccia erano realizzate con acciaio dalla tempra fine.

Tutti i tipi di punta di freccia erano innestati in aste di canna di bambù, stagionate e oculatamente scelte in base alla potenza dell’ arco, con i nodi fra le diverse sezioni accuratamente lisciati, l’ innesto avveniva tramite lunghi codoli appuntiti a sezione quadrata, la freccia misurava dai 75 cm al metro di lunghezza totale, nella parte iniziale c’ erano tre o quattro piume timoniere, preferibilmente in penne d’ aquila, chiamate ya no ha, vicino alla inpennatura era collocato lo hazu, taglio nella canna praticato all’ estremità che permetteva  la collocazione della corda dell’ arco.

Erano fabbricate principalmente nelle province di:  O-wari,  Ka-ga e Echi-zen. Famosi spadai e abili artisti del  metallo, in tutti i tempi, si dedicarono alla forgia di perfette e calibrate punte di freccia, talora arricchite con un fine lavoro di traforo o cesello, realizzando un decoro che impreziosiva la freccia con iscrizioni o motivi araldici ( Mom ), questi ornamenti erano tipici delle punte di freccia ad uso simbolico, forgiate come dono votivo per i santuari shintoisti o i templi buddisti, non avendo altra valenza che quella augurale potevano presentare dimensioni considerevoli, sino ai 30 cm di lunghezza.

Le principali categorie delle punte di frecce (yajiri) sono:
·              yanagi – ba, sono punte di freccia a forma di foglia di salice, la cui lunghezza può arrivare ai 15,3 cm, erano usate per la caccia e in guerra contro bersagli non molto protetti, perché aprivano ferite più ampie, riducendo il tempo di morte per dissanguamento.

·              togari – ya, sono le freccia a punta, sia sottile che ampia, in questo caso si definiscono “ a punta di lancia”, la lunghezza poteva raggiungere i 20,3 cm, normalmente si presentano a sezione romboidale, a volte potevano essere forgiate a sezione triangolare, chiamate sankaku.

·              karimata, la punta della freccia è composta da due punte, il termine si traduce “ volo dell’ oca selvaggia “ e vuole indicare che le due punte rappresentano le ali dell’ oca in volo, possono essere “ ko kari mata “ se le due punte sono ravvicinate oppure “ O kari mata “ se le due punte sono molto distanti, la distanza delle due punte, nei casi conosciuti, varia dai 3,6 ai 16 cm. Le freccie più antiche appartenenti a questa tipologia sono sempre prive di trafori mentre quelle moderne sono più o meno finemente lavorate e traforate, soprattutto quelle del XVI e XVII secolo.

·              watakushi, termine giapponese che si traduce in “strazia – carne”, sono punte di freccia dalla forma uncinata, riconoscibili dalla loro conformazione a doppio amo, questo è il motivo del loro grazioso nome “ sradica intestini “, si presentano con diverse varianti nella forma, alcune delle quali, a causa delle affinità con le categorie precedenti, possono creare seri problemi di catalogazione.

Le punte aguzze, togari – ya, abilmente modellate in forme sottili e penetranti, in questa foggia erano in grado di trapassare piastre di metallo di armature e scudi, sempre usate contro le corazze erano delle punte forgiate con la forma di una virgola, benché sbilanciate, erano in grado di infilarsi, al momento dell’ impatto, fra le lamine costituenti le armature.















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venerdì 4 marzo 2011

NYOGEN SENZAKI E PAUL REPS “101 STORIE ZEN“ . "101 ZEN STORIES"


NON SO QUANTE VOLTE HO LETTO, RILETTO O SFOGLIATO IL LIBRO SCRITTO DA NYOGEN SENZAKI E PAUL REPS INTITOLATO “ 101 STORIE ZEN “.

Edito in lingua inglese nel 1957, è stato tradotto in italiano da Adriana Monti e stampato, nel 1973, per le edizioni Adelphi.

Il libro è composto da una serie di aneddoti, in totale 101, e da questo prende il nome.
Le storie comprendono dei kōan Zen, i più affascinanti, che consistono in un quesito, di difficile soluzione, affidato dal maestro zen al discepolo, a cui chiede la soluzione. Altre sono tratte dal Shasekishū ( 沙石集, Raccolta di pietre e di sabbia), scritto fra l 1279 e il 1283, dal maestro buddhista zen giapponese Mujū Ichien (無住一円, 1226-1312). Altre ancora risalgono al diciannovesimo e ventesimo secolo.

La terza storia, è intitolata:

Ah sì?

Il maestro di Zen Hakuin era decantato dai vicini per la purezza della sua vita.
Accanto a lui abitava una bella ragazza giapponese, i cui genitori avevano un negozio di alimentari. Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, i genitori scoprirono che era incinta.
La cosa mandò i genitori su tutte le furie. La ragazza non voleva confessare chi fosse l'uomo, ma quando non ne poté più di tutte quelle insistenze, finì col dire che era stato il maestro di Zen Hakuin.
I genitori furibondi andarono dal maestro. «Ah sì?» disse lui come tutta risposta.
Quando il bambino nacque, lo portarono da Hakuin. Ormai lui aveva perso la reputazione, cosa che lo lasciava indifferente, ma si occupò del bambino con grande sollecitudine. Si procurava dai vicini il latte e tutto quello che occorreva al piccolo.
Dopo un anno la ragazza, madre del bambino, non resistette più. Disse ai genitori la verità: il vero padre del bambino era un giovanotto che lavorava al mercato del pesce.
La madre e il padre della ragazza andarono subito da Hakuin a chiedergli perdono, a fargli tutte le loro scuse e a riprendersi il bambino.
Hakuin non fece obiezioni. Nel cedere il bambino, tutto quel che disse fu: «Ah sì?».



NYOGEN SENZAKI E PAUL REPS “101 STORIE ZEN“ . "101 ZEN STORIES"