mercoledì 12 ottobre 2011

LA TECNICA ARTISTICA, LA STORIA E IL MERCATO DEL CLOISONNE' REALIZZATO IN GIAPPONE



COPPIA DI VASI CLOSOINNE ENTRAMBI DECORATI, NELLA PARTE INFERIORE,  CON UN DRAGO REALIZZATO IN COLOR BIANCO, GRIGIO E ROSSO, REALIZZATI NELLA CITTA' DI NAGOYA NELLA SECONDA META' DEL XIX SECOLO.


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Il cloisonne una tecnica artistica che consiste nell'applicazione di paste vitree policrome sopra superfici metalliche. 

La convergenza dei due diversi materiali, il vetro, fuso e applicato a caldo, e il metallo, lo pone a metà strada fra l'arte del vetro e dell'oreficeria. Questa lavorazione era conosciuta in molti luoghi e tempi. Nel medioevo ebbe il suo apice a Bisanzio, dal lavoro di quelle botteghe uscì la "Pala d'oro", ora appartenente al Tesoro della Basilica di San Marco a Venezia, composta da pannelli smaltati, di eterogenea provenienza e epoca, databili a partire dal X secolo.

Questa lavorazione consiste nel riempire degli alveoli con lo smalto colorato, componendo un decoro, dove possono essere presenti anche delle immagini. Il primo cloisonnè figurato conosciuto è una croce-reliquiario, custodito nella Basilica di San Pietro a Roma, databile fra il VI e il VII secolo. Le cavità dove si collocherà lo smalto sono leggermente emergenti rispetto al piano della base, delimitate da listelli o fili. La qualità nella lavorazione si definisce in base alla grandezza delle celle e dei fili che, in entrambi i casi, per esprimerà la migliore varietà, devono essere delle dimensioni più ridotte possibili. Lo smalto fuso, colato nell'alveolo, aderisce alle pareti del listello o del filo e al piano dell'oggetto. Il supporto in metallo può essere in rame, bronzo, ottone e occasionalmente in metalli preziosi. Il sostegno metallico era realizzato a fusione o da una lamina che veniva lavorata direttamente con il processo della martellazione. In quest'ultimo caso il metallo, in genere il rame, era ridotto a lastra, battuto e la forma era ottenuta dall'unione di più lastre sagomate. Alcune parti più vulnerabili, come i bordi, erano poi rifinite in bronzo. Per gli esemplari più antichi i listelli erano saldati sulla superficie dell'oggetto, negli esemplari databili verso la fine del XIX secolo, i fili erano incollati con colla di riso che si bruciava al momento dell'applicazione dello smalto fuso.

Lo smalto è formato, in proporzioni diverse, da sabbia, sodio e potassio. Questa miscela esposta al calore si scioglie in una massa di colore blu o verde, usando questo composto come base si potevano ottenere altri colori con l'aggiunta di agenti coloranti, in genere ossidi metallici. Il maggior progresso nella gamma dei colori disponibili si ottenne in Giappone, questo avvenne dal 1875, con la fondazione, a Tokyo, della Ahrens Company. In questa industria si concretizzò la collaborazione fra Tsukamoto Kaisuke, famoso artefice di cloisonne, e Gottfried von Wagner, Gottfried Wagener (1831-1892), chimico tedesco, trasferito in Giappone per dare un supporto scientifico alle arti e mestieri tradizionali.

Gli smalti in pasta vengono compressi nelle celle, in genere, un colore per cella, ed esposti a cottura in piccoli forni d'argilla. La temperatura del forno dipendeva dal colore dello smalto in cottura, questo perché ogni smalto è caratterizzato da un proprio punto di fusione. In genere si iniziava dagli smalti con un punto di fusione più alto e poi si passava a quelli con punti di fusione più bassi. La smaltatura dell'oggetto avveniva con una successione di cotture a temperature sempre più basse, questa serie di cotture determina una contrazione dello smalto e la conseguente aggiunta, per ogni nuova immissione nel forno, di smalto in pasta. Finita la fase della cottura, l'oggetto veniva accuratamente levigato, per far emergere il filo e rimuovere le sbavature dello smalto. Alla levigatura seguiva la lucidatura con polveri sempre più fini, fino a raggiungere una patina traslucida. 

Cloisonnè è un termine generale che raggruppa molte varianti tecniche.

Il plique-à-jour è una lavorazione difficoltosa, dove il corpo metallico dell'oggetto, realizzato in rame e di piccole dimensioni, era sottoposto all'azione dell'acido che lo eliminava per corrosione, lasciando solo gli smalti e i fili delle celle. Questi oggetti, di ridotte dimensioni, a causa della tecnica di lavorazione, hanno una valutazione molto elevata. Questa tecnica può essere realizzata in una sola zona dell'oggetto, per esempio la fascia centrale di un vaso, al di sopra e al di sotto della quale questo procedimento non è applicato, in questo caso abbiamo una plique-à-jour parziale. La fabbrica fondata da Ando Jubei realizzò molti oggetti con questa metodo.

Il moriage è una tecnica dove lo smalto è applicato a strati, portando alcune parti della decorazione dell'oggetto ad alto rilievo, in posizione più elevata rispetto ad altre, con questa tecnica hanno lavorato gli artisti occupati presso la Ando Jubei e Kawade Shibataro.

Smalti gin-bari, dove lo smalto traslucido è applicato su un fondo composto da un foglio metallico, questa tecnica può essere anche parziale, dove una parte del soggetto decorativo è realizzata con il metodo gin-bari e il resto della decorazione dell'oggetto è realizzato con lavorazione a smalto abituale, così lavorava Oda Tamashiro.

Musen-jippo è la tecnica più spettacolare e impegnativa, inventata e usata in prevalenza da Namikawa Sosuke. Padroneggiata solo dai migliori artisti, è caratterizzata da smalti che non presentano fili metallici, quest'ultimi vengono rimossi prima della cottura, o, se necessari, usati in modo molto accorto. Gli oggetti smaltati prodotti da Namikawa Sosuke sono fra i più richiesti e pagati dal mercato, ma non tutti i pezzi realizzati con questa tecnica sono certamente attribuibili alla sua opera. A fini speculativi gli operatori commerciali gli riconoscono manufatti non firmati e con caratteristiche stilistiche non sempre vicine alla sua produzione. I primi oggetti realizzati con questa tecnica datano 1889.

Più comuni da vedersi, ma sempre eleganti e certo non meno affascinati, sono i cloisonnè con corpo smaltato in color blu notte e con le celle realizzate da sottilissimi fili in argento. Creati nella città di Nagoya sono caratterizzati da minute celle che realizzano dei complessi decori. I pezzi migliori furono prodotti nel laboratorio di Hayashi Kodenji o di Hayashi Kihyoe. A Nagoya, con questa tecnica, sono anche stati prodotti dei pannelli decorativi, destinati ad essere appesi, raffiguranti draghi o fenici, sempre difficili da reperire sul mercato antiquario.

Durante l'epoca Meiji, gli smalti più belli e rappresentativi furono prodotti fra il 1880 e il 1900, periodo in cui questa tecnica artistica, in Giappone, raggiunse il suo apice. Prima del 1880 gli smalti erano grezzi, il filo di contorno delle celle era molto evidente. Pezzi di qualità possono presentarsi, ma il decoro è sempre ripetitivo, influenzato dalla produzione tessile, che si palesa nell'ampio ricorso a motivi decorativi di forma romboidale e più in generale geometrica. Queste caratteristiche rendono questi oggetti poco attraenti e, di conseguenza, poco appetibili sul mercato. Di contro la produzione realizzata fra il 1880 e il 1900, coincide con il periodo migliore, l'età dell'oro degli smalti, caratterizzata da un notevole mutamento degli stili decorativi, con una realizzazione più realistica del soggetto, permesso dalle maggiori competenze tecniche che consentirono di realizzare i piccoli particolari del decoro. Con questo nuovo progresso della tecnica furono dipinti paesaggi e composizioni di fiori, foglie e insetti. Nel caso delle coppie di vasi, può succedere che i due decori si continuino e il soggetto decorativo si componga di due parti suddivise e complementari, una similitudine con le Ukiyo-e, dove il soggetto era espanso su più fogli.

Dalla fine degli ottanta del ventesimo secolo si assiste ad un accresciuto interesse per le opere d'arte prodotte durante il periodo Meiji, tendenza confermata anche nel presente. Oggetti prodotti in questo lasso di tempo, da molti conoscitori e collezionisti guardato con distacco, possono raggiungere quotazioni pari all'arte giapponese tradizionale, da tempo consolidata nel mercato. Questa affermazione, valida in generale, è ben adatta per i cloisonnè, unica espressione artistica giapponese ad aver raggiunto la perfezione tecnica ed estetica durante il periodo Meiji.

Prima dell'epoca Meiji i cloisonne vivono una storia particolare, tanto da poter affermare che, in Giappone, questa tecnica fu scoperta due volte.

I primi closionné realizzati in Giappone furono opera di Hirata Donin. Prodotti attorno ai primi decenni del XVII secolo, furono sempre oggetti di piccole dimensioni, come le finiture per la montatura della spada o dei medaglioni. La famiglia Hirata si specializzò in questa tecnica e produsse, per duecento anni, oggetti di decorazione sussidiaria, mai oggetti decorativi singoli. Con gli inizi dell'ottocento le commissioni diminuirono al punto che il segreto della produzione con questa tecnica si andava perdendo, assistendo al paradosso, di una tecnica custodita così gelosamente che i discendenti persero la capacità di realizzarla, ma non il diritto ad eseguirla. Nell'ottocento questa lavorazione era quasi scomparsa, rinacque solo dopo anni di esperimenti e fra le ragioni della rinascita bisogna annoverare l'interesse commerciale che questi prodotti avevano nei mercati europei e non tanto dalla domanda interna giapponese.

Gli inizi della riscoperta della tecnica si devono ad un samurai di nome Kaji Tsunekichi, 1802 - 1883, nato e vissuto a Nagoya. Venne a conoscenza degli oggetti con decoro a cloisonne dalla lettura di un antico testo. Non avendo mai visto oggetti smaltati, appena gli fu possibile acquistò un manufatto decorato usando questa tecnica artistica, questo avvenne nel 1832. Si dice che ruppe l'oggetto per carpirne i segreti, questo gli permise, nel 1883, di compiere, da autodidatta, i suoi primi esperimenti, dando vita a una serie di seguaci che con le loro ricerche rimisero a punto la tecnica di produzione. 


La forma a tromba del cloisonné illustrato si ispira ad un ku, il boccale in bronzo, usato per bere durante le feste, tipico dell'antica Cina. Caratterizzato da un bordo sporgente, corpo rastremato e piede leggermente espanso. Presenta il bordo e la base rifinite in argento e corpo smaltato, in diverse tonalità di color verde, a imitazione della decorazione dei bronzi cinesi antichi. Prodotto nelle prime quattro decadi del XX secolo, dalla fabbrica, fondata a Nagoya, dall'imprenditore Ando Jubei. In questa stabilimento lavoravano gli smaltatori più esperti e nei suoi laboratori si realizzarono ricerche tese a perfezionare gli smalti, i colori, le paste e i processi produttivi. Questa attività di ricerca permise la produzione dei primi cloisonné realizzati con la tecnica del moriage e del plique-à-jour.






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martedì 19 luglio 2011

CURIOSITA' SUL GIAPPONE E I GIAPPONESI - WAKARESASEYA

CORNA CERTIFICATE CON GLI SFASCIA-COPPIE

I "wakaresaseya ", sono in Giappone, gli " sfascia - coppia " a noleggio. Se non si sà come mollare il proprio partner si affitta un wakaresaseya ( sui siti web specializzati ) e ci pensa lui. Cioè abborda la vittima, provoca un tradimento documentato e da così via libera agli avvocati divorzisti. Alcun wakaresaseya hanno avuto guai con la legge, ma sembra che la professione non subisca crisi.


Tratto da "Il Giornale " di lunedì 18 luglio 2011

mercoledì 6 luglio 2011

LA PERDITA D’IMPORTANZA DEL NETSUKE’ E L’AFFERMAZIONE DELL’OKIMONO,

Okimono raffigura una donna che suona il tamburo
Realizzato in Giappone nella seconda metà del XIX secolo,
in avorio d'elefante, con parti incise e decotate a inchiostro

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Il netsukè è un oggetto che veniva indossato con il compito di fissare i vari sagemono all’obi del kimono maschile, per questa ragione non può essere di dimensioni eccessive, che andrebbero a discapito della portabilità, e deve essere privo di parti sporgenti, che avrebbero l’inconveniente di impigliarsi all’abito. Per evitare quest’ultimo fastidio, era molto importante la forma geometrica del manufatto, che, per i pezzi più antichi, è caratterizzata da un contorno triangolare, ma che, nel tempo e per svariate ragioni, è andata modificandosi in ovale.

La traduzione del termine giapponese è “oggetto fissato, tsuké, all’estremità, ne, di una corda”, quest’ultima passa entro due fori, chiamati himotoshi, posti in punti ben studiati, tanto da non essere immediatamente visibili o, aumentandone di molto il valore, entro gli spazi vuoti della modellazione della figura.







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mercoledì 15 giugno 2011

I SAMURAI, L'ARCO E LA SPADA



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Per molti secoli, in Giappone, lo studio del maneggio dell’arco e della spada era l’occupazione dove il samurai era più impegnato. L’uso dell’arco si affermò per scopi bellici o come ausilio alla caccia. Fino all'introduzione delle armi da fuoco, con i portoghesi, nel XVI secolo, l’arco permetteva di lanciare, con esattezza e a distanze ragguardevoli, vari tipi di frecce e quando, non era necessaria precisione, come nel caso delle frecce infuocate o di segnalazione, l’utilità di questa arma poteva arrivare fino ad una distanza nell’ordine dei duecento metri.

Nella tradizione militare giapponese, l’arco condivide con la spada un eguale prestigio. Rappresentano entrambi l’emblema dell’indomita forza guerriera, un simbolismo religioso e l’affermazione dei poteri di concentrazione e determinazione nati con un lento, duro e faticoso allenamento.

Nella cultura giapponese, tutti i personaggi di posizione sociale elevata erano felici quando venivano divulgate e acclamate le loro qualità di arciere, ma cercavano di far passare inosservate le prodezze realizzate con la spada.

Ai nostri giorni, gli originari impieghi dell’arco hanno lasciato spazio al Kyu-do, 弓道, in italiano la “via dell’arco”, dove il fine pratico è secondario e diventa preminente quello filosofico.

Un complesso e elegante cerimoniale, dalle ferree regole di etichetta, dove lo zen e i suoi insegnamenti fanno da principale protagonista. Nella mente del praticante, la freccia, scoccata dopo un articolato e elegante protocollo, ha già colpito il bersaglio prima di aver lasciato l’arco e l’arciere. Il bersaglio, quello fisico, situato ad una distanza di ventotto o sessanta metri, ha il compito di palesare quanto l’allievo ha assorbito, a livello inconscio, della tecnica d’uso e quanto, l‘applicazione della rigida etichetta, evidenzia la naturalezza e la spontaneità dell’arciere.

Nel Kyu-do, il sibilo della freccia che fende l'aria ha ben altri scopi rispetto all’analoga pratica occidentale.

Nell’antico Giappone gli archi, in giapponese yumi, esistevano di varie grandezze e forme, creando moltissime varianti del tipo fondamentale, conosciuto con il nome di fuse- take no yumi. Costruito con diversi strati di bambù e legno di gelso o catalpa, è lungo dal metro e ottanata ai due metri e quaranta centimetri. Molto resistente ed elastico, rinforzato da sottili strisce collocate esternamente in vari punti alla struttura. La corda è realizzata con uno spago di seta impregnato di resina di pino. La freccia ha una punta metallica, è costituita in bambù e penne d'uccello.

L’arco giapponese è il più lungo al mondo, per questa ragione è impugnato in modo asimmetrico, a un terzo della sua lunghezza e non al centro come nell’arco occidentale. Questo impugnatura, imprime alla freccia una velocità d’uscita maggiore dovuta alla maggiore forza di carico dell’arco

Veniva usato solitamente a piedi, dietro un tedate, un largo scudo di legno, ma poteva essere usato dai guerrieri a cavallo, i quali, come descrivono i testi antichi, al galoppo, guidando con le sole gambe l’animale, scagliavano le loro frecce, in una rapida successione, contro gli avversari in battaglia, ferendoli e lasciando ai fanti il compito di inferire il colpo di grazia. La pratica di tirare con l'arco da cavallo divenne una cerimonia shintoista detta Yabusame.

Nelle battaglie contro gli invasori mongoli, l’arco fu l'arma decisiva, nettamente superiore ai piccoli archi e alle balestre usate dagli invasori. L’avvento delle armi da fuoco e il loro impiego in guerra ridusse l’importanza strategica dell’arco e dell’arciere nel campo di battaglia, ma non offuscò il prestigio della disciplina, paradossalmente rafforzando la relazione fra l’arco e la freccia e la leggendaria nascita della nazione giapponese.

In epoca neolitica le punte delle frecce erano realizzate in osso o in pietra e già si presentavano in un vasto repertorio di fogge, la più peculiare era costituita da una punta composta da due alette, chiamata karimata. L’importazione del metallo nell’isola, nei primi secoli dopo Cristo, permise la realizzazione di punte di freccia fuse in bronzo e in ferro, anche in questa seconda fase ritroviamo un vasto repertorio di forme: lanceolate, hokoya , triangolari, hirane, a foglia di salice, yanagiba e così via.

Le frecce, in giapponese ya, erano realizzate da un ya–haki, fabbricante di frecce. Erano costituite da un’asta di canna, in giapponese yagara, di lunghezza variabile, con punte, in giapponese yajiri, realizzate con materiali e forme molteplici. Sono classificate secondo l’utilizzo, questo crea un enorme varietà di fogge e grandezze che non permettono una compiuta classificazione, per esempio, avevano la punta di legno a forma di pera quelle usate per esercitarsi al tiro al bersaglio, di contro le frecce per la guerra o per la caccia erano realizzate con acciaio dalla tempra fine.

Tutti i tipi di punta di freccia erano innestati in aste di canna di bambù, stagionate e oculatamente scelte in base alla potenza dell’arco, con i nodi fra le diverse sezioni accuratamente lisciati, l’innesto avveniva tramite lunghi codoli appuntiti a sezione quadrata. La freccia misurava dai settantacinque cm al metro di lunghezza totale, nella parte iniziale c’erano tre o quattro piume timoniere, preferibilmente in penne d’aquila, chiamate ya no ha. Vicino alla inpennatura era collocato lo hazu, taglio nella canna praticato all’estremità che permetteva la collocazione della corda dell’arco.

Erano fabbricate principalmente nelle province di:  O-wari,  Ka-ga e Echi-zen. Famosi spadai e abili artisti del metallo, in tutti i tempi, si dedicarono alla forgia di perfette e calibrate punte di freccia, talora arricchite con un fine lavoro di traforo o cesello, realizzando un decoro che impreziosiva la freccia con iscrizioni o motivi araldici, mom. Questi ornamenti erano tipici delle punte di freccia ad uso simbolico, forgiate come dono votivo per i santuari shintoisti o i templi buddisti, non avendo altra valenza che quella augurale potevano presentare dimensioni considerevoli, sino ai 30 cm di lunghezza.

L’evoluzione delle frecce non poté prescindere dalla struttura dell’armatura usata sui campi di battaglia. In un periodo di guerra continua, l’arco era un’arma indispensabile sui campi di battaglia, le punte aguzze, chiamate togari–ya, abilmente modellate in forme sottili e penetranti, erano in grado di trapassare le piastre di metallo delle armature. Al modificarsi della forma delle piastre, vengono affiancate da punte forgiate con la forma di una virgola, benché sbilanciate, erano in grado di infilarsi, al momento dell’impatto, fra le lamine costituenti le armature.






L'articolo è stato scritto da Luca Piatti per il sito dell'associazione "Ochacaffè Italia Giappone"




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lunedì 23 maggio 2011

NYOGEN SENZAKI E PAUL REPS “101 STORIE ZEN“ . "101 ZEN STORIES"

NON SO QUANTE VOLTE HO LETTO, RILETTO O SFOGLIATO IL LIBRO SCRITTO DA NYOGEN SENZAKI E PAUL REPS INTITOLATO “ 101 STORIE ZEN “.

Edito in lingua inglese nel 1957, è stato tradotto in italiano da Adriana Monti e stampato, nel 1973, per le edizioni Adelphi.

Il libro è composto da una serie di aneddoti, in totale 101, e da questo prende il nome.
Le storie comprendono dei kōan Zen, i più affascinanti, che consistono in un quesito, di difficile soluzione, affidato dal maestro zen al discepolo, a cui chiede la soluzione. Altre sono tratte dal Shasekishū ( 沙石集, Raccolta di pietre e di sabbia), scritto fra l 1279 e il 1283, dal maestro buddhista zen giapponese Mujū Ichien (無住一円, 1226-1312). Altre ancora risalgono al diciannovesimo e ventesimo secolo.

La ventisettesima storia è intitolata:

La voce della felicità

Dopo la morte di Bankei, un cieco che viveva accanto al tempio del maestro disse a un amico: «Da quando sono cieco, non posso osservare la faccia delle persone, e allora devo giudicare il loro carattere dal suono della voce. Il più delle volte, quando sento qualcuno che si congratula con un altro per la sua felicità o il suo successo, afferro anche una segreta sfumatura di invidia. Quando uno esprime il suo rammarico per la disgrazia di un altro, sento il piacere e la soddisfazione, come se quello che si rammarica sia in realtà contento che nel suo proprio mondo ci sia ancora qualcosa da guadagnare.
«La voce di Bankei, però, sin dalla prima volta che l'ho sentita, è stata sempre sincera. Quando lui esprimeva la felicità non ho mai sentito null'altro che la felicità, e quando esprimeva il dolore, il dolore era l'unico sentimento che io sentissi».



NYOGEN SENZAKI E PAUL REPS “101 STORIE ZEN“ . "101 ZEN STORIES"



domenica 17 aprile 2011

L’ ELEFANTE E L’ARTE GIAPPONESE


Pensare all’arte nata in Giappone e associare gli elefanti non è certo cosa comune, altre raffigurazioni di animali popolano quel mondo, ma cercando con cura, scopriamo che questo pachiderma, d’origine non locale, non è proprio sconosciuto agli artisti operanti in Giappone, anche se non è soggetto frequente.

Nel Giappone antico, gli elefanti erano conosciuti solo per mezzo delle raffigurazioni provenienti dalla Cina e per l’avorio tratto dalle loro zanne, lavorato, da lungo tempo e da molti artisti intagliatori, in oggetti d’uso e decorativi. Era considerato come l’emblema della saggezza.

Questo animale giunse fisicamente sul suolo giapponese nella prima metà del XVIII secolo, dono del re del Siam. A questo periodo si fa risalire un aneddoto che non tardò a divenire un soggetto nelle opere di molti artisti e, in un secondo tempo, ad acquisire un secondo significato.

Si narra che la notizia dell’arrivo in terra giapponese dell’elefante avesse incuriosito moltissime persone e molti si recavano ad ammirare quello che i giapponesi identificavano come la più bella opera fuoriuscita dalla creazione. Fra questi individui, un gruppo di persone, private della vista, volle esaminare, con il tatto, l’animale.

Le notevoli dimensioni del mammifero, permisero che ogni non vedente fosse costretto solo ad un esame di una piccola parte. L’animale fu circondato e ognuno, in base alla porzione che gli competeva e alle proprie sensazioni, cercò di descrivere il mammifero. Come è logico intuire, tutte le narrazioni furono diverse e in nessun caso inerenti alla realtà. Col tempo, come spesse volte accade nella terra di Yamato, questo aneddoto acquisisce un significato ulteriore, diventando il monito a non giudicare da un solo punto di vista ciò che non si conosce.

Hokusai, con grande arguzia, illustrò questa situazione, in una incisione. La stampa appartiene alla raccolta “ Sillabario per trasmettere il vero spirito “.

L’elefante è anche il riferimento per l’identificazione di due personaggi che si possono ritrovare raffigurati in quest’arte, sono : Tai Shun e Kokusenya.

Tai Shun è usualmente rappresentato come un ragazzo con un elefante. Figlio di un vecchio cieco, chiamato Ku Sow, fu inviato, dai suoi genitori, sulle montagne a coltivare la terra. Accettando il suo destino, parti e si predispose al duro lavoro. Nel suo faticoso compito trovò l’aiuto di un elefante, il quale trainava l’aratro nel campo, arando al suo posto. L’imperatore Yao, conosciuta la condizione del ragazzo, provò per lui della pietà e, per compensarlo, gli diede una delle sue figlie come moglie. Questo permise a Tai Shun di diventare il successore al trono imperiale. La vita di questo ragazzo è identificata come uno dei ventiquattro modelli di virtù dei figli.

Kokusen’ya fu un famoso pirata vissuto nel diciassettesimo secolo, figlio di un padre di origine cinese, Cheng Che Lung, e di una madre giapponese, chiamato dai gesuiti Coxinga. Fu catturato nell’isola di Formosa e le sue audaci azioni, caratterizzate da umorismo macabro, lo porteranno alla notorietà. E’ raffigurato, come un uomo di piccola statura, nell’atto del furto di una tigre o di un largo elefante, mentre si allontana dal luogo della rapina con l’inusuale bottino.

La raffigurazioni dell’elefante è entrata anche negli accessori di ornamento delle lame giapponesi. Dal era Kyōhō, (1716-1735), si realizzano tsuba raffiguranti un elefante, il primo artista a introdurre questo soggetto fu Yasuchika.

L’iconografia del Buddismo permette altre comparse dell’elefante. In Giappone, la divinità buddista Fugen Bosatsu, chiamata in Cina Pu Hien. E’ citato nel testo del Sutra del Loto e viene raffigurato seduto su elefante, alcune volte con pelle bianca, o, più raramente, su un gruppo di elefanti. Può succedere che l’elefante o gli elefanti presentino tre paia di zanne. Generalmente è rappresentato mentre regge, fra le mani, un rotolo scritto, più raramente con un fiore di loto. E’ la divinità che impersona gli insegnamenti del Buddha, dispensa la conoscenza e saggezza. In Giappone, la qualifica di Bosatsu è destinata ad un individuo che, anche se gli è permesso, ha fatto voto di non entrare nel Nirvana fino a quando tutte le altre creature non potranno accedervi con lui, nel frattempo, aiuta e salva tutti coloro che sono prigionieri nel ciclo delle rinascite.

Una curiosità, leggendo un fumetto giapponese, il verso dell’elefante è scritto “paooooooon”.






Incisione xilografica, stampata in color nero, raffigurante "un elefante e otto uomini", ideata da Katzushita Hokusai, è una illustrazione del libro appartenente alla raccolta Sillabario per trasmettere il vero spirito





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mercoledì 9 marzo 2011

Kyusen, l’ arco e le frecce




Kyusen, l’ arco e le frecce Il samurai era addestrato all’ uso di molti tipi d’arma, fra queste è obbligo menzionare l’ arco, in giapponese yumi; nell’ antico Giappone n’esistevano di varie grandezze e forme, creando moltissime varianti del tipo fondamentale, conosciuto con il nome di fusedake no yumi oppure mamaki yumi, lungo dai 1,80 ai 2 metri, molto resistente ed elastico, era rinforzato da sottili strisce di bambù, legate esternamente in vari punti alla struttura linea dell’ arco.

Nella tradizione militare del Giappone l’ arco condivide con la spada un eguale prestigio, rappresentano entrambi l’ emblema dell’ indomita forza guerriera, dei poteri di concentrazione e determinazione e un simbolismo religioso, anche se, nella cultura giapponese, tutti i personaggi di posizione sociale elevata erano felici quando venivano divulgate e acclamate le loro qualità di arciere ma, cercavano di far passare inosservate le prodezze realizzate con la spada.

Usato largamente dai guerrieri a cavallo, i quali, come descrivono i testi antichi, al galoppo, guidando con le sole gambe l’ animale, scagliavano le loro frecce, in una rapida successione, contro gli avversari in battaglia, ferendoli e lasciando ai fanti il compito di inferire il colpo di grazia.
L’ avvento delle armi da fuoco e il loro impiego in guerra ridusse l’ importanza strategica dell’ arco e dell’ arciere nel campo di battaglia ma non offuscò il prestigio della disciplina, paradossalmente rafforzando la relazione fra l’ arco e la freccia e la leggendaria nascita della nazione giapponese.

In epoca neolitica le punte delle frecce erano realizzate in osso o in pietra e già si presentavano in un vasto repertorio di fogge, la più peculiare era costituita da una punta composta da due alette ( Karimata ). L’ importazione del metallo nell’ isola nei primi secoli dopo Cristo permise la realizzazione di punte di freccia fuse in bronzo e in ferro, anche in questa seconda fase ritroviamo un vasto repertorio di forme: lanceolate ( hokoya ), triangolari ( hirane ), a foglia di salice ( yanagiba ) e così via.

Le frecce, in giapponese ya, erano realizzate da un Ya – haki, fabbricante di frecce, erano costituite da un’asta di canna, in giapponese yagara, di lunghezza variabile, con punte, in giapponese yajiri, realizzate con materiali e forme molteplici, secondo l’ utilizzo, tanto da creare un enorme varietà di fogge e grandezze che non permettono una compiuta classificazione, per esempio, avevano la punta di legno a forma di pera quelle usate per esercitarsi al tiro al bersaglio, di contro le frecce per la guerra o per la caccia erano realizzate con acciaio dalla tempra fine.

Tutti i tipi di punta di freccia erano innestati in aste di canna di bambù, stagionate e oculatamente scelte in base alla potenza dell’ arco, con i nodi fra le diverse sezioni accuratamente lisciati, l’ innesto avveniva tramite lunghi codoli appuntiti a sezione quadrata, la freccia misurava dai 75 cm al metro di lunghezza totale, nella parte iniziale c’ erano tre o quattro piume timoniere, preferibilmente in penne d’ aquila, chiamate ya no ha, vicino alla inpennatura era collocato lo hazu, taglio nella canna praticato all’ estremità che permetteva  la collocazione della corda dell’ arco.

Erano fabbricate principalmente nelle province di:  O-wari,  Ka-ga e Echi-zen. Famosi spadai e abili artisti del  metallo, in tutti i tempi, si dedicarono alla forgia di perfette e calibrate punte di freccia, talora arricchite con un fine lavoro di traforo o cesello, realizzando un decoro che impreziosiva la freccia con iscrizioni o motivi araldici ( Mom ), questi ornamenti erano tipici delle punte di freccia ad uso simbolico, forgiate come dono votivo per i santuari shintoisti o i templi buddisti, non avendo altra valenza che quella augurale potevano presentare dimensioni considerevoli, sino ai 30 cm di lunghezza.

Le principali categorie delle punte di frecce (yajiri) sono:
·              yanagi – ba, sono punte di freccia a forma di foglia di salice, la cui lunghezza può arrivare ai 15,3 cm, erano usate per la caccia e in guerra contro bersagli non molto protetti, perché aprivano ferite più ampie, riducendo il tempo di morte per dissanguamento.

·              togari – ya, sono le freccia a punta, sia sottile che ampia, in questo caso si definiscono “ a punta di lancia”, la lunghezza poteva raggiungere i 20,3 cm, normalmente si presentano a sezione romboidale, a volte potevano essere forgiate a sezione triangolare, chiamate sankaku.

·              karimata, la punta della freccia è composta da due punte, il termine si traduce “ volo dell’ oca selvaggia “ e vuole indicare che le due punte rappresentano le ali dell’ oca in volo, possono essere “ ko kari mata “ se le due punte sono ravvicinate oppure “ O kari mata “ se le due punte sono molto distanti, la distanza delle due punte, nei casi conosciuti, varia dai 3,6 ai 16 cm. Le freccie più antiche appartenenti a questa tipologia sono sempre prive di trafori mentre quelle moderne sono più o meno finemente lavorate e traforate, soprattutto quelle del XVI e XVII secolo.

·              watakushi, termine giapponese che si traduce in “strazia – carne”, sono punte di freccia dalla forma uncinata, riconoscibili dalla loro conformazione a doppio amo, questo è il motivo del loro grazioso nome “ sradica intestini “, si presentano con diverse varianti nella forma, alcune delle quali, a causa delle affinità con le categorie precedenti, possono creare seri problemi di catalogazione.

Le punte aguzze, togari – ya, abilmente modellate in forme sottili e penetranti, in questa foggia erano in grado di trapassare piastre di metallo di armature e scudi, sempre usate contro le corazze erano delle punte forgiate con la forma di una virgola, benché sbilanciate, erano in grado di infilarsi, al momento dell’ impatto, fra le lamine costituenti le armature.















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venerdì 4 marzo 2011

NYOGEN SENZAKI E PAUL REPS “101 STORIE ZEN“ . "101 ZEN STORIES"


NON SO QUANTE VOLTE HO LETTO, RILETTO O SFOGLIATO IL LIBRO SCRITTO DA NYOGEN SENZAKI E PAUL REPS INTITOLATO “ 101 STORIE ZEN “.

Edito in lingua inglese nel 1957, è stato tradotto in italiano da Adriana Monti e stampato, nel 1973, per le edizioni Adelphi.

Il libro è composto da una serie di aneddoti, in totale 101, e da questo prende il nome.
Le storie comprendono dei kōan Zen, i più affascinanti, che consistono in un quesito, di difficile soluzione, affidato dal maestro zen al discepolo, a cui chiede la soluzione. Altre sono tratte dal Shasekishū ( 沙石集, Raccolta di pietre e di sabbia), scritto fra l 1279 e il 1283, dal maestro buddhista zen giapponese Mujū Ichien (無住一円, 1226-1312). Altre ancora risalgono al diciannovesimo e ventesimo secolo.

La terza storia, è intitolata:

Ah sì?

Il maestro di Zen Hakuin era decantato dai vicini per la purezza della sua vita.
Accanto a lui abitava una bella ragazza giapponese, i cui genitori avevano un negozio di alimentari. Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, i genitori scoprirono che era incinta.
La cosa mandò i genitori su tutte le furie. La ragazza non voleva confessare chi fosse l'uomo, ma quando non ne poté più di tutte quelle insistenze, finì col dire che era stato il maestro di Zen Hakuin.
I genitori furibondi andarono dal maestro. «Ah sì?» disse lui come tutta risposta.
Quando il bambino nacque, lo portarono da Hakuin. Ormai lui aveva perso la reputazione, cosa che lo lasciava indifferente, ma si occupò del bambino con grande sollecitudine. Si procurava dai vicini il latte e tutto quello che occorreva al piccolo.
Dopo un anno la ragazza, madre del bambino, non resistette più. Disse ai genitori la verità: il vero padre del bambino era un giovanotto che lavorava al mercato del pesce.
La madre e il padre della ragazza andarono subito da Hakuin a chiedergli perdono, a fargli tutte le loro scuse e a riprendersi il bambino.
Hakuin non fece obiezioni. Nel cedere il bambino, tutto quel che disse fu: «Ah sì?».



NYOGEN SENZAKI E PAUL REPS “101 STORIE ZEN“ . "101 ZEN STORIES"

sabato 26 febbraio 2011

KOZURE OKAMI – SAMURAI - ITTO OGAMI - DAIGORO


La serie televisiva, il cui titolo originale era "Kozure ôkami" fu trasmessa in Italia con il titolo “Samurai". Ambientata nel Giappone di epoca Edo, vedeva come protagonista l’attore Kinnosuke Yorozuya, che interpretava la figura di Ôgami Ittô e Daigoro, il figlio di Itto Ogami, interpretato da Akihiro Tomikawa.

Più volte proposta da emittenti locali, è stata anche programmata da Rete Quattro e da Italia Sette, era composta da 79 episodi, divisi in tre serie.

Gli episodi della prima serie sono ventisette, questo solo per la versione italiana dove compare “Oyuki” , un episodio che non compare nelle versioni di altri paesi.

1.                 Dramma del passato (My Son and My Sword for Hire)
2.                 Il villaggio del terrore (Fangs of the Wolf)
3.                 Il messaggio di Seikiki (Ikkoku-Bashi Bridge)
4.                 Dolorosi ricordi (Highway of Assassins)
5.                 Daigoro e Omatsu (The Lowly Maid)

Oyuki ( solo edizione italiana )

6.                 Omatsu (Amya and Anema)
7.                 Il fucile di Sakai (The Guns of Sakai)
8.                 La difesa della libertà (The Castle Wall Attack)
9.                 Il ritorno di Gumbei (Six Roads to Infinity)
10.            Okoh (Baby Cart on the River Styx)
11.            Il rivale di Itto Ogami (Deer Hunters)
12.            Uccidete il Duca (Chiyo's Boat)
13.            La ladra misteriosa (No Betrayal)
14.            Da oriente a occidente (North to South, East to West)
15.            Erbe miracolose (Night of Fangs)
16.            La fiducia perduta (Cloud Tiger, Wind Dragon)
17.            Degno discepolo (Executioner Asaemon)
18.            Un samurai in piazza (Half Mat, One Mat, Two And A Half Go Of Rice)
19.            La morsa si stringe (The 8 Gate Attack Formation)
20.            Il fiore del ricordo (Chrysanthemum Inn)
21.            La festa dei mercenari (The Crossing Guard)
22.            Un'erba chiamata Kanoji (The Tragedy Of Beku No Ji)
23.            La donna del samurai (Thread of Tears)
24.            I traghettatori (The Yagyu Letter)
25.            Un degno erede (Daigoro's Song)
26.            Agguato mortale (Drifting Shadows)

Gli episodi della seconda serie sono ventisei, in tutte le lingue:

1.                 Il confine tra la vita e la morte (Blackfaces of Death)
2.                 Il vento del sud (Dark Southern Winds)
3.                 Le cinque ruote (Yagyu Five Prong Attack)
4.                 Aspettando la pioggia (The Late Autumn Rain)
5.                 L'inverno è già arrivato (Mid Winter Arrival)
6.                 Il bambino rapito (The Decoy)
7.                 La malattia (The Wolf Cometh)
8.                 Prestito di sangue (Japanese Silver Leaf)
9.                 Cinque eroi per un assassino (Women's Castle)
10.            La persecuzione continua (Exorcism Day)
11.            Tre fratelli per Itto (Whistle of the Winter Wind)
12.            Il signore delle campane (The Bell Ringer)
13.            Vendetta nel carcere (The Red Cat Beckons)
14.            La banda degli Orisuke (Footman's Demise)
15.            Freddo inverno (Destroy Hot Stones)
16.            Il corriere delle sette leghe (Seven Ri Runner)
17.            Il fantasma di Mamesho (Memasho The Cop)
18.            Le lanterne votive (Floating Lanterns)
19.            Il sogno d'inverno (Beginning of Winter)
20.            La barriera di Makone (The Female Inspector)
21.            Le donne degli agenti dell'erba (Resolute Women)
22.            Il maestro d'armi (Suio Style Zanbato Blade)
23.            Il funerale prima della morte (The Living Dead)
24.            La stella cadente (An Ill Star)
25.            La tredicesima corda (Thirteen Strings)
26.            Kozeka (Sayaka)

Gli episodi della terza serie sono ventisei, in tutte le lingue:

1.                 Caccia al lupo (Seeking Immortality)
2.                 I quattro sicari (Wet Nurse's Parasol)
3.                 Operazione inferno (No Tomorrow)
4.                 Spie in pensione (The Silk Cloud)
5.                 Il sapore della cucina materna (A Mother's Taste)
6.                 Il sacrificio di Ayme (Your Life is Mine)
7.                 Le cinque sorelle (Five Sisters of Death)
8.                 La sposa contesa (Season of Death)
9.                 Missione d'amore (Unfortunate Pair)
10.            Il cucciolo (Ominous Path)
11.            Il fiore della felicità (The Flower of Happiness)
12.            Il tiratore scelto (The Hand Cannon)
13.            La luna piena e il muragumo Yagiu (The Moon of Desire)
14.            Il capo assaggiatore dello Shogun (Omens Good and Bad)
15.            Tamo Abe (Abe the Monster)
16.            La rabbia furiosa di Retsudo (Wildfire)
17.            Il profumo della battaglia (The Scent)
18.            Le bombe a mano di Daigoro (The Roaring Thunder)
19.            L'inondazione (Light on the River of Blood)
20.            Fissandosi negli occhi (The Showdown)
21.            La banda del lupo (Impending Death)
22.            Daigoro / DAIGORO E OMATSU (Fathers and Sons)
23.            Battaglia senza luce(Attack in the Shadows)
24.            La difesa delle spade (The Guardian)
25.            Le onde della vita (Waves and Flutes)
26.            Il duello (Swordsmanship)